Trappola del Reddito di Inclusione.

Trappola del Reddito di Inclusione.

Tonino D’Orazio 13 dicembre 2017.

Ci risiamo, si annuncia un’altra pioggerella elettorale. E’ stato approvato dal governo, in Italia, il Reddito di Inclusione (ReI), che parte da gennaio 2018, come assegno universale contro la povertà. Il richiamo fasullo è per circa 1,8 milioni di famiglie povere dichiarate dall’Istat, noto Istituto governativo, perché in realtà si rivolgerà solo a circa 20.000. Poiché, per ottenerlo, le barriere sono tali da ridurre drasticamente gli aventi diritto. Il beneficio economico può arrivare fino a 485 euro, secondo il numero dei componenti del nucleo familiare richiedente, e occorre essere in possesso di determinati requisiti di reddito ISEE (Indicatore della Situazione Economica) e ISRE (la somma del patrimonio disponibile di tutta la famiglia), rispettivamente, al massimo di 6.000 e 3.000 euro.

 Infatti, sono i requisiti che preoccupano perché riducono enormemente la platea. Sarà data la priorità ai nuclei familiari, (quindi già i soldi sono pochissimi), che abbiano al loro interno figli minori o inabili (o disabili, che sicuramente percepiscono un minimo di assegno sociale), donne in gravidanza, disoccupati di età maggiore ai 55 anni (quindi niente giovani ultra diciottenni senza lavoro, loro hanno già quello quasi gratuito del famigerato jobs act a favore). Oltre a possedere i requisiti, il beneficiario, è tenuto a sottoscrivere e a seguire minuziosamente quanto stipulato con il cosiddetto “progetto personalizzato di attivazione sociale e lavorativa”, un piano messo a punto dal Comune e nello specifico dal centro per l’impiego, servizi sanitari, scuole e soggetti privati attivi nel settore del contrasto alla povertà, gli enti no profit e la chiesa cattolica, finalizzato al superamento della situazione di povertà ed esclusione sociale dell’intera famiglia. Altrimenti, il bonus è immediatamente sospeso ed occorre poi aspettare un bel po’ prima di poterlo richiedere di nuovo, se non addirittura rimborsarlo. Inoltre il bonus si riduce alla presenza di trattamenti assistenziali percepiti dalla famiglia nel periodo di fruizione del ReI, o il possesso di altri redditi, fatta eccezione dei redditi come l’indennità di accompagnamento.

Le condizioni sono: avere un reddito Isee fino a 6.000 euro; avere un ISR sotto i 3.000 euro; avere un patrimonio immobiliare, diverso dalla casa di abitazione, non superiore a 20mila euro; un valore del patrimonio mobiliare (depositi, conti correnti) non superiore a 10mila euro. Tale soglia, scende a 8 mila euro in caso di coppia e a 6 mila euro per la persona sola). E che nessun componente del nucleo debba: percepire la Naspi o altro ammortizzatore sociale di sostegno al reddito in caso di disoccupazione involontaria; possedere autoveicoli e/o motoveicoli immatricolati nei 24 mesi prima la domanda. (In caso di lavoricchi, si va in bicicletta!). Nella suddetta condizione, sono esclusi gli autoveicoli e i motoveicoli acquistati con la legge 104; possedere navi e imbarcazioni da diporto (questo è giusto, tenuto conto di quanti casi squisiti di possessori “nullatenenti” presenti in questa area).

Il ReI sostituisce a tutti gli effetti (ecco la grande riforma delle tre carte) sia l’ASDI (Assegno di Disoccupazione) che il SIA (Sostegno Inclusione Attiva).

La trafila? La domanda va fatta al comune, il quale, una volta accettata, consegnerà una carta di credito sulla quale l’Inps (ormai Istituto pensionistico che serve a tutto) verserà l’accredito, (ancora le banche!) all’avente diritto, ma per i documenti obbligatori e necessari (Isee) bisogna andare al Caaf. Per l’ISRE, se si è capaci, si può fare da soli. (Non consigliato).

Sembrerebbe a prima vista che io sia contro questo provvedimento, in realtà sono contro i pannicelli caldi su ferite mostruose e quindi contro la roboante presa in giro. Comunque, se può aiutare qualche povero miserabile tra i miserabili, ci mancherebbe! Tra l’altro sul reddito di cittadinanza l’Italia è l’unico paese, sempre insieme alla Grecia, (dimenticavo l’Ungheria), a non prevedere forme di sostegno di questo tipo. Mi viene anche un altro dubbio, e cioè che questo provvedimento così selettivo ma senza controllo, come succede spesso in Italia, vada semplicemente ad alimentare situazioni di reddito o di lavoro al nero di sopravvivenza già preesistente.

Da noi, in Italia, il costo di un reddito minimo di cittadinanza è stato quantificato in 15-17 miliardi, (M5S, e Misto-Sel), cifra alta ma non impossibile se si considera che per lo sgravio Irpef da 80 euro siano serviti circa 10 miliardi, gran parte gravante sull’Inps.

Altri paesi sono molto più civili, anche se in Europa, visti i diktat della troika di Bruxelles, balbettano e tornano tutti indietro sul “sociale”, e a guardare bene, vi sono alcuni argomenti sottili da decifrare che sembrano avere un filo rosso di collegamento. Stato sempre più leggero e fai da te.

Canada. Ontario: Reddito di Base garantito a tutti i cittadini. L’idea è di consegnare un assegno mensile che sostituisca il complesso sistema di sussidi statali in vigore. L’assegno dovrebbe essere in grado di coprire il reperimento di tutti i beni di prima necessità: il cibo, i trasporti, le bollette e l’abbigliamento, allo stesso tempo permettere allo stato di ottenere risparmi nella spesa pubblica in aeree anche come quelle dell’assistenza medica e dei sussidi immobiliari.

La Finlandia ha già proposto una simile iniziativa e dovrebbe lanciarla quest’anno, mentre la città olandese di Utrecht ha avviato un esperimento del genere a gennaio.  Il Consiglio comunale di Zurigo ha appena approvato il Reddito di Base incondizionato e, a breve, tutti gli abitanti della città avranno a disposizione un “salario di Stato garantito” di 2.500 franchi mensili, ossia circa 2.200 euro, più 625 franchi, ossia circa 550 euro per ogni minore. Secondo gli esperti il reddito di base incondizionato non dovrebbe portare problemi allo Stato, perché andrebbe a sostituirsi a quasi tutte le prestazioni sociali, e a rilanciare il famoso “consumo”, altro argomento da filo rosso pensato sempre come unica soluzione possibile e magari con effettivo “rientro” fiscale.

L’altro argomento nuovo è quello di una specie di salario, anche se non si lavora. Se è vero che vi sarà sempre meno lavoro nel futuro è bene che l’idea cominci a essere realtà e sia programmata, come stanno facendo le società avanzate e meno medievali. Visti i risultati ottenuti con la “flessibilità”, il precariato e la povertà, il lavoro non è più paradigma di reddito. E forse è l’unico modo per cui lo stato può tornare a svolgere il suo ruolo di ridistribuire democraticamente la ricchezza prodotta prendendola direttamente dove è.

 

 

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